Congresso sulle dipendenze affettive (Milano Bicocca)
Presentazione di Daniela Santabbondio e David Hey
Il lavoro essenziale sulle Dipendenze Affettive Approccio psicologico e transpersonale
Ciò che trattiene dall’essere presente, non è altro che la speranza nel futuro;
la speranza in qualcosa che deve accadere tiene in vita una certa fantasia sul futuro, questa speranza è un miraggio; questa speranza ci trattiene dal vedere l’evidenza, la preziosità dell’essere. È una grande distorsione, una grande incomprensione di ciò che può dare soddisfazione. Quando insegui un miraggio stai rifiutando te stesso.
A. H. Almaas
Dopo anni di lavoro in questo campo siamo consapevoli di quanto sia difficile dare una definizione precisa del “dipendente affettivo”. Sappiamo che nel DSM-5, come dipendenze non da sostanze, è classificato soltanto il gioco d’azzardo patologico; e che, nella sezione dedicata ai Disturbi di personalità, il Disturbo di personalità dipendente è inserito nel cluster C, che raggruppa le condotte ansiose o inibite.
Usiamo il termine di “dipendenze” per quelle condizioni relazionali che portano anche individui altrimenti autonomi, alle manifestazioni del disturbo da personalità dipendente.
La descrizione che fa il DSM di quest’ultima mette infatti bene in luce l’insicurezza di fondo, lo stato di coscienza carenziale che porta ad aggrapparsi all’altro.
Si può dire che le personalità dipendenti manchino spesso di fiducia, di forza, di autostima; che siano alla frenetica ricerca di compensazioni esterne, e si trovino perse nei nelle ripetizioni di vecchi schemi primari.
Questi tratti di personalità possono emergere anche in persone apparentemente autonome e indipendenti, che tuttavia, nell’ambito della sfera affettiva più intima, in determinate situazioni di coinvolgimento affettivo, possono scompensarsi gravemente, rivelando fragilità inattese.
È chiaro che non vanno considerate dipendenti affettive quelle persone che sono riuscite a sperimentare una qualità profonda di amore e che sentono il desiderio interiore di condividere la loro pienezza con l’altra persona. Questa condizione è anzi molto vicina alla realizzazione piena di sé, è una condizione piena di luce e amore, ed è proprio questa condizione di benessere emozionale che la nostra metodologia intende promuovere. Qui intendiamo illustrare proprio come può avvenire questo processo di guarigione, dalla dipendenza affettiva alla realizzazione nell’amore.
Le esperienze innamorative ed estatiche danno una sensazione di pienezza, ma, se il senso del Sé si sovraidentifica con la componente emotiva collegata al vissuto totalizzante, appena questo vissuto si incrina o viene meno, si spalanca la sensazione di mancanza.
Quando questo senso di mancanza è tanto forte e persistente da togliere il senso e valore al Sé e alla vita, solitamente affonda le sue radici patologiche nella trascuratezza, maltrattamento e abuso infantili (child neglect), comprese quelle forme di sfruttamento emotivo come parentificazione, infantilizzazione, alienazione parentale; e talvolta già in forme minori di disattenzione ai bisogni fondamentali del bambino. Quando le figure di accudimento non sono state capaci di sostenere tanto la sicurezza quanto l’autonomia e il senso di efficacia del bambino, di far sentire cioè il bambino meritevole di amore di per sé stesso, nella sua unicità e nelle sue qualità, e centro indiscutibile della sua propria esistenza.
La definizione di dipendenza affettiva non ha mai trovato un consenso unanime nella letteratura scientifica.
Nel tentativo di tracciarne le caratteristiche psicopatologiche secondo un profilo diagnostico clinicamente percorribile, Cermak (1986) propose alcuni criteri diagnostici per il Disturbo di Personalità dipendente:
1. controllo di sé e degli altri nonostante l’evenienza di serie conseguenze negative;
2. senso di autostima derivante dal sentire che si riesce a controllare, aggiustare, l’altro;
3. assunzione di responsabilità per l’altro, anche quando non richiesta;
4. disinteresse per i propri bisogni, priorità alle esigenze dell’altro;
5. distorsioni del confine di sé in situazioni d’intimità e di separazione;
6. coinvolgimento in relazioni con soggetti affetti da disturbi di personalità, dipendenza da sostanze, altra dipendenza o disturbi del controllo degli impulsi.
Vi possono essere inoltre:
1. eccessivo ricorso alla negazione;
2. costrizione delle emozioni;
3. depressione;
4. ipervigilanza;
5. compulsione;
6. ansia;
7. abuso di sostanze;
8. condizione attuale o pregressa di ricorrenti abusi fisici o sessuali subiti;
9. malattie da stress;
10. permanenza in una relazione primaria con un soggetto abusatore di sostanze per almeno 2 anni senza richiedere un aiuto esterno.
Pia Melody (1989) individua cinque costrutti cruciali per riconoscere la dipendenza affettiva:
1. basso livello di autostima;
2. difficoltà a stabilire confini definiti e sani con l’altro, con tendenza a invadere e a farsi invadere;
3. difficoltà a riconoscere i propri bisogni, chi si è, cosa si sente;
4. persistenza nel prendersi cura dei bisogni e desideri altrui a costo di dimenticare e a trascurare se stessi;
5. difficoltà nell’esprimere ed esperire la realtà con moderazione, tendendo all’eccesso in ogni manifestazione di sé;
In base alla nostra esperienza aggiungerei questi punti:
senso di fragilità nel contatto;
difficoltà nella differenziazione dall’altro;
carenza di un sé stabile e integrato (con forte conflitto tra istanze pulsionali e inibitorie),
senso intimo di “mancanza” e di vuoto e di capacità di controllo sugli sbalzi dell’umore.
Queste caratteristiche possono essere ricondotte ad una regolazione emotiva deficitaria nella precoce interazione con le figure di attaccamento.
Ferite
Le ferite principali sono connesse ad un senso di abbandono, di deprivazione, di vergogna e ad un vissuto che rimanda al non sentirsi meritevoli di amore. A tutto questo, spesso si unisce un senso di tradimento e di vuoto affettivo che, nel presente contributo, verrà riferito in particolare alla cosiddetta “teoria dei buchi” nella formulazione proposta da A. H. Almaas, autore ancora poco conosciuto in ambito psicologico-psichiatrico in Europa, che ha fornito ipotesi suggestive ed originali nella rilettura degli stati carenziali e dell’inautentica realizzazione del sé.
Almaas, teoria dei buchi ed essenza
Almaas chiama la sua metodologia Diamond Approach riferendosi al diamante che, sfaccettato e luminoso, puro in mezzo ai detriti, taglia con precisione i materiali più duri senza esserne scalfito. Come i diamanti che giacciono nella terra incastonati fra le pietre e nascosti dai detriti, così l’Essenza giace nel profondo di noi stessi sommersa dall’inconsapevolezza, nascosta tra i diversi stati emozionali della personalità. Come per cercare i diamanti, bisogna lavorare con determinazione per individuare l’Essenza e portarla alla luce in modo che risplenda e doni pienezza alla nostra vita. Se non siamo consapevoli della nostra Essenza, essa smette di manifestarsi, e questa latenza, questa mancanza di contatto, la chiamiamo “buco”.
La mancanza di consapevolezza della nostra Essenza ci fa sentire tagliati fuori dal contatto più profondo con noi stessi. Almaas usa il termine “buco” perché questa mancanza di contatto con l’Essenza crea una sensazione di vuoto, che può manifestarsi come mancanza di amore, come perdita del senso del proprio valore; come perdita di autenticità nel contatto interpersonale, di forza vitale e di volontà, e anche come perdita di chiarezza, di piacere, di partecipazione al processo vitale nelle sue molteplici espressioni.
Prendiamo, per esempio, la qualità del valore e della stima di sé: quando si perde il senso del proprio valore si ha la sensazione di avere dentro di sé una specie di “buco”; ci si sente fragili anche nel corpo, si prova un senso di mancanza, un senso di inferiorità e si tende a riempirlo con la ricerca di un valore che ci possa venire attribuito dall’esterno sotto forma di approvazione, lode, riconoscimento. Per esorcizzare questa penosa sensazione di disvalore ci sforziamo di ottenere ad ogni costo, a volte anche mendicandolo, il riconoscimento altrui.
Siamo per lo più inconsapevoli dei nostri vuoti ma siamo consapevoli dei desideri – che a volte si traducono in imperiose necessità – di ciò che riteniamo, spesso solo illusoriamente, possa colmarli. Quante volte sentiamo persone insoddisfatte delle loro vita, attribuire la causa della loro insoddisfazione alla mancanza della “persona amata”, di un successo professionale disperatamente voluto, o di una gratificazione da cui far dipendere completamente la propria felicità?
Cause ed effetti
Questa sensazione di vuoto ha generalmente origine nell’infanzia. In parte è il risultato di precoci esperienze traumatiche o di conflitti con l’ambiente nel quale si sono sviluppati i primi tratti della personalità. Quando il valore intrinseco della persona che si sta formando non viene riconosciuto, o addirittura viene messo in dubbio o negato, si crea un senso di mancanza e di incompiutezza. La persona stessa finisce per disconoscere le sue qualità più intime, restando come straniera a se stessa. La propria intima essenza non viene tuttavia persa irreversibilmente, ma ne viene persa la consapevolezza. Ai desideri e ai bisogni più autentici, che non sono stati riconosciuti e autorizzati nel primo sviluppo della persona, si sostituiscono desideri e bisogni convenzionali, superficiali, facilmente riconoscibili in un’ottica mondana e, spesso, consumistica. E l’unicità della persona si perde in un senso di vuoto riempito da finti bisogni. La continua presenza di questi pretesi “bisogni” è spesso sintomo di questo vuoto, di questi “buchi”.
Compensazione dei vuoti nella coppia
Spesso vi è la tendenza a compensare questa carenza ontologica nella relazione intima. Più intima è la relazione e più sentiamo di valere perchè l’altro ci apprezza. Quando siamo coinvolti in questo tipo di relazioni, affidiamo all’altro il potere di misurare il nostro valore, poiché facciamo nostra l’immagine che l’altro ha di noi.
La coppia si trova magicamente a sentirsi “una cosa sola” perché l’uno compensa le carenze dell’altro, perché ciascuno impedisce all’altro di diventar consapevole delle proprie carenze. All’interno della coppia non vi è la consapevolezza che il benessere individuale è raggiunto grazie ad una reciproca fittizia compensazione, nella quale il vuoto di ciascuno è colmato dalla presenza e dall’apprezzamento dell’altro. Ciascuno si sente completo e appagato solo quando è in presenza del partner, cioè della persona sulla quale soprattutto proietta il bisogno di accettazione che nell’infanzia attendeva – più o meno invano – dai genitori. Può essere che talvolta, quando sentiamo dire “siamo fatti l’uno per l’altro/a” dobbiamo sospettare che si tratti di una relazione nella quale avviene una reciproca compensazione dei vuoti.
Fragilità e sovrainvestimento
Sono spesso i tratti più fragili e vulnerabili della personalità che creano attrazione reciproca tra gli individui, creando legami ad incastro molto difficili da sciogliere anche quando sono di vicendevole ostacolo e arrecano a ciascuno dei partner più sofferenza che emancipazione e benessere.
Se l’altro muore, o la relazione finisce, la perdita è sperimentata non come perdita di una persona separata, ma come perdita di una parte di noi stessi, e la sensazione di vuoto e di angoscia è insostenibile. Chi resta, si sente come svuotato, amputato, e nuovamente privato di valore, di sicurezza, di forza, di volontà.
Vuoto deficitario
Questo, secondo Almaas, è il Vuoto deficitario, è il senso di vuoto che ha avuto origine nella nostra infanzia; porta ad una diminuzione del contatto con l’essenza nella nostra vita, ed è connesso allo sviluppo dell’ego. La nostra struttura egoica è una risposta ai vuoti e alle paure, è una difesa dal vuoto e dalla mancanza. A questo vuoto deficitario si contrappone il Vuoto/pieno Spirituale, che porta un senso di pace, una espansione dello spazio interiore e una totale fiducia nel presente, unitamente ad un allegerimento dei condizionamenti collegati al passato ed ad una maggiore apertura a vivere l’esperienza attimo dopo attimo. Il senso del Vuoto che trasmettono i grandi maestri, compreso Gautama il Buddha, è la compresenza di più qualità dell’essenza.
Le qualità essenziali(latife)
La continua difesa che opponiamo al senso di vuoto ci impedisce di entrare in quello stato di consapevolezza che consente alle qualità essenziali di fluire. Le qualità essenziali o lataif sono potenti strumenti capaci di rompere le nostre credenze e i nostri schemi obsoleti, e di promuovere fiducia, autonomia, amore per noi stessi, forza, compassione, gioia, volontà, pace.
Il significato originale dell’aggettivo latif in arabo è “ sottile”. Le Lataʾif as-sitta (in arabo “Le cinque sottigliezze” o essenze sottili) corrispondono ad una mappa creata originariamente dai Sufi; qualcosa di molto simile, nella corrispondenza dei colori, si rinviene anche nella tradizione Buddista Tibetana e fra gli alchimisti cristiani per derivazione araba. Grazie ad Almaas abbiamo trovato nei lataif una profonda connessione con la psicologia moderna.
L’apertura di ogni latifa – che rende consapevoli dei suoi contenuti essenziali, incarnandoli – permette l’affioramento, non solo delle qualità in esso contenute, ma anche di quelle appartenenti alle altre lataif. Questo processo ha alla base il mistero al quale si può accedere solo con l’esperienza diretta.
Per esempio: quando vivo pienamente la Forza Essenziale che esprime il coraggio, l’entusiasmo, l’espansione, la grandezza, molto probabilmente percepirò anche solidità, radicamento e fiducia, che sono caratteristiche della Volontà Essenziale e magari anche libertà, verità e purezza di intenzioni, che sono espresse dalle altre tre lataif primarie.
A ciascuna latifa si fanno corrispondere un colore, determinate proprietà energetiche, e temi psicologici specifici. Le cinque principali lataif, in breve, sono:
La Latifa Bianca
La Latifa Bianca, conosciuta come la Volontà Essenziale, che corrisponde al senso di solidità interiore, di sostegno, e del proprio valore intrinseco. La volontà di essere, di sostenere se stessi, di vivere senza sforzo ma con determinazione. È una fiducia rilassata che si manifesta quando si è in contatto con il proprio Essere. È radicata, piena di risorse e capace d’impegno. Risveglia la qualità della fiducia. Comporta un lavoro sul padre, l’integrazione del maschile, porta maggior fiducia in se stessi, trasmette la forza per superare le prove della vita e una profonda accettazione. Il risveglio della qualità della fiducia primaria avviene con visualizzazioni e meditazioni.
Il suo sacro impulso è IO VOGLIO.
La Latifa Rossa
La Latifa Rossa, conosciuta come la Forza Essenziale, ha a che fare con la capacità di essere un individuo. Dà la forza di separarsi da vecchie strutture che non servono più alla nostra evoluzione e unicità. È una vitalità appassionata ed entusiasta che trasmette la forza di muoversi nel mondo con tutte le sue sfide.
Spinge all’azione e alla percezione della propria sessualità. Trasmette la capacità di stare sia con la gioia che con il dolore e dà passione per la vita. Dà la forza di separarci da vecchie strutture. Comporta un lavoro sulla madre e l’integrazione del femminile; un lavoro sulla consapevolezza corporea nel movimento fra fusione ed individuazione e un lavoro attivo sull’espressione della rabbia.
Il suo sacro impulso è: IO POSSO
La Latifa Verde
La Latifa Verde promuove la consapevolezza delle ferite primarie, integrando la qualità della compassione, ovvero la capacità di incontrare le nostre ferite senza giudicarci e senza reagire in modo difensivo. Ci porta a stare nel presente con autosostegno, ad ccogliere il nostro bambino interiore con amorevolezza e totale accettazione di ciò che è presente. È dunque una guida nell’esplorazione dell’amore vero che porta con sé il rispetto e il perdono di se stessi e degli altri. Incoraggia ad essere piuttosto che a fare, e a lasciare andare l’attaccamento all’immagine idealizzata di noi stessi.
Il lavoro sul bambino interiore viene svolto con visulizzazioni e meditazioni guidate.
Conosciuta come “compassione essenziale”, questa Latifa ci dà comprensione e compassione profonde per la struttura del nostro Ego.
Il suo sacro impulso è: IO SONO
La Latifa Gialla
La Latifa Gialla ci riconnette alla gioia e alla sorgente del desiderio, ce ne fa sentire il fluire e la forza vitale senza attaccamento al risultato. Stimola la curiosità per la verità, permettendoci di tralasciare lo sforzo di costruire la nostra personalità su preconcetti e pregiudizi.
Stimola a radicare un senso del sé adulto e a riconoscere e sostenere il desiderio come sorgente di trasformazione e di evoluzione.
Questa sottile dimensione dell’Essere è come un sole che ci brilla dentro, e ha a che fare con la nostra innata capacità di vivere nella gioia e nella curiosità. È la dimensione in cui lasciamo andare le immagini negative di noi stessi e la seriosità e ci riappropriamo dell’innocenza e della leggerezza.
Comporta un lavoro sulla consapevolezza corporea attraverso il movimento, la danza e la creatività, ma anche un lavoro specifico e mirato di osservazione e di emancipazione dal giudice interiore.
Il suo sacro impulso è: IO DESIDERO
La latifa nera
La latifa nera racchiude tutte le lataif, principali e secondarie.
Porta ad entrare in contatto con un senso di dignità e di potere, nella capacità di incontrare la propria ombra e di vedere la realtà per quello che è, senza più filtri.
Integra uno stato meditativo e di vigilanza (che corrisponde al terzo livello di consapevolezza).
Conosciuta come l’Essenza della pace e del silenzio, questa Latifa è la sorgente del nostro amore e del nostro desiderio di Verità. È una dimensione molto profonda del guardarsi dentro e ci spinge a realizzazare la nostra propria maestria.
Qui affrontiamo i nostri concetti e le nostre paure riguardo alla morte, oltre che molti strati di difese egoiche.
È la porta nell’assoluto, nello spirito indifferenziato universale e non personale.
Per la personalità è difficile, se non impossibile, concepire dimensioni dell’essere al di là della forma.
La latifa nera è spazio senza confini, silenzio, puro spazio creativo, assoluta potenzialità, connessione con la mente universale. È lo spazio che si apre quando, anche solo per pochi attimi, cessa l’opprimente attività della mente. La nostra anima si sente a casa ricongiunta con se stessa e non ci sentiamo più come separati dal tutto come quando siamo in balia della struttura egoica.
Come descriveva Castaneda, «in quel momento di quiete crolla il mondo con la sua descrizione», e cosi crolla la descrizione di noi, in esso alimentata dal nostro dialogo interiore.
Il manifestarsi della pace essenziale ci apre delle realtà forse intuite dal cuore e desiderate nella mente; ci permette di contattare ciò che abbiamo percepito fugacemente in un tramonto, nelle onde del mare , o in un momento di amore. In contatto con l’essenza nera possiamo vedere che siamo pace, immensità e silenzio, e pura ed immediata percezione.
Con la latifa nera entriamo in un luogo di assoluto riconoscimento e intuizione.
Il suo impulso è: IO PERCEPISCO
Perosnalità e qualità essenziali
Più coltiviamo il nostro stato essenziale, più questo sostituirà una gran parte della vecchia struttura della personalità, della mente, dei modelli di comportamento consueti, portandoci più in profondità, dandoci più vitalità, più senso reale di ciò che siamo veramente.
Soltanto grazie a un’attitudine di benevola autoaccettazione, arrivando a tollerare con compassione e presenza mentale il disagio della mancanza, solo così potremo entrare in contatto con l’Essenza e la qualità mancante nascerà spontaneamente dalla profondità dell’essere.
La psicologia tradizionale non riconosce la realtà spirituale dell’Essere e le sue qualità e molte tradizioni spirituali non insistono abbastanza su una comprensione compassionevole della personalità. Il nostro lavoro, basato su Gestalt, Essenza ed Enneagramma, include ambedue questi aspetti e offre una comprensione dell’Assoluto (la dimensione non manifesta), delle qualità Essenziali (le manifestazioni dell’Essere) e dell’Ego, e delle loro interrelazioni. Si tratta infatti di riscoprire ciò che siamo già e di reintegrare con consapevolezza e amore ciò che apparentemente abbiamo perso, ma che è lì ad aspettarci: l’Essenza. Poiché è la separazione dall’Essere e dalla sua manifestazione – conosciuta come Essenza – la causa principale della nostra dipendenza affettiva, qualunque lavoro psicologico che non ci aiuti a riconnetterci con l’Essenza, è incompleto. La dimensione essenziale può essere vista come il ponte tra l’Assoluto e la Personalità. Più si va in profondità nell’Essenza, più, alla fine, essa ci condurrà alla sorgente sorgente dell’Essenza, o la natura di Buddha. Pertanto, la dimensione psicologica permette di accedere a quella spiritual, a seconda del grado di profondità cui vogliamo spingerci.
Il nostro approccio alla dipendenza affettiva
Come gli alchimisti sapevano che la fabbricazione della loro pietra era un miracolo che poteva compiersi soltanto concedente deo, così lo psicologo moderno si rende conto di non poter produrre che la descrizione, formulata in simboli scientifici, di un processo psichico la cui vera natura trascende la coscienza altrettanto quanto il segreto della vita o quello della materia. Egli non ha in alcun modo spiegato il mistero, né quindi lo ha fatto appassire. Lo ha soltanto avvicinato un po’ di più alla coscienza individuale, rendendo visibile, mediante prove empiriche, la positività e la sperimentabilità del processo di individuazione Carl Gustav Jung
Il nostro lavoro sulle dipendenze affettive è frutto di un’integrazione dell’approccio Transpersonale connesso alle qualità dell’Essenza, e di quello gestaltico che privilegia l’autenticità nel contatto, l’esplorazione dei meccanismi di difesa, e la reintegrazione delle parti scisse del Sé, con il lavoro sui tre stati di coscienza, o livelli di consapevolezza, illustrato da David Hey nel libro Travel in counsciousness. Il lavoro dovrebbe infatti progredire secondo tre livelli di consapevolezza:
I tre livelli di consapevolezza:
⁃ Nel primo stato c’è un senso del sé rigido, abbiamo a che fare con la completa identificazione del nostro bisogno dell’altro; restiamo in difesa e in balia delle nostre paure. In questo stato non c’è comprensione delle dinamiche relazionali e del loro profondo impatto sull’essere.
⁃ Nel secondo stato siamo più consapevoli e testimoni delle ferite primarie e delle pulsioni che ci portano ancora a sentirci vittime di bisogni di un Io che agisce in un modo automatico. Impariamo a riconoscere meglio i nostri bisogni di vicinanza così da non restarne più succubi e diventiamo più consapevoli della parte più nevrotica della nostra personalità. In questo stato creiamo uno spazio di consapevolezza che ci permette di entrare in contatto con la nostra vulnerabilità, e acquistiamo più morbidezza e apetura nell’approccio con l’altro.
⁃ Nel terzo stato, che per semplificare chiameremo stato meditativo, la personalità arretra sullo sfondo, l’essere è più presente, e in figura ci sono le qualità dell’essenza. In questo stato siamo in totale accettazione di qualsiasi emozione, non c’è lotta, non ci sono attaccamenti, non esiste un’immagine idealizzata di noi che può configurarsi come istanza superegoica e persecutoria.
Step
Per il dipendente affettivo è fondamentale sentirsi meritevole di amore e stabilizzare un senso di sé sufficientemente forte da fare sì che il contatto emozionale non si traduca in un’ esperienza travolgente con potenziale compromissione o perdita delle funzioni dell’Io.
Pertanto, il primo passo consiste nello sviluppare e rinforzare un senso del Sé capace di mantenere un sano distacco critico dalle proprie passioni.
L’obiettivo è quello di rafforzare le qualità della nostra essenza ammorbidendo la struttura egoica attraverso un processo di osservazione/testimonianza dei nostri stati emotivi con una successiva disidentificazione dall’aspetto più passionale e incosapevole degli stessi.
Naturalmente, le persone arrivano con la loro richiesta di aiuto quando appunto sperimentano una separazione avvertita come insostenibile. Come abbiamo detto, nelle dipendenze affettive tocchiamo il senso di vuoto che viene costantemente coperto dall’attività nevrotica dell’ego, che tende a compensarlo con il bisogno dell’altro e con la ricerca compulsiva dell’amore. Pertanto, il primo passo è accettare con compassione e presenza il disagio della mancanza; quindi possiamo prendere coscienza dei “vuoti” con esercizi di auto indagine, e cerchiamo di riconoscere le difese che abitualmente usiamo per non sentire questi vuoti, per tenerli nascosti a noi stessi o agli altri.
Risposte
Osserviamo quanto spesso restiamo in una coatta ripetizione di atteggiamenti e reazioni che per lo più non fanno che mettere in atto strategie difensive apprese nell’infanzia e ormai divenute inattuali e disfunzionali. Una parte del lavoro è dunque di educazione a riconoscere i nostri schemi di pensiero, le nostre rappresentazioni più profonde e meno consapevoli, e a riconoscere quali vie emozionali e quali schemi comportamentali percorriamo in questa sorta di automatismo predeterminato e inconsapevole. Proviamo quindi a vedere quali comportamenti rappresenterebbero una riposta alla realtà attuale alternativa, responsabile e costruttiva.
Troviamo molto utile, per illustrare i meccanismi di difesa, avvalerci del modello degli enneatipi di Claudio Naranjo conosciuto come Ennegramma, integrandolo al lavoro sulle essenze (Lataif) del Diamond; descriviamo perciò gli apprendimenti pseudo-adattivi dei diversi enneatipi, che limitano le potenzialità individuali, e le diverse qualità Essenziali che ne compensano le carenze.
Lavoriamo quindi sulla ripresa del contatto amorevole con il “bambino emozionale interiore”, bambino spesso represso o “dimenticato” sotto il peso di esperienze di vita aspre e conflittive. Un importante lavoro di decondizionamente dalle figure genitoriali e sulle ferite del bambino interiore viene svolto in un lungo seminario intensivo. Questo lavoro agisce in particolare sui primi 2 livelli di consapevolezza; vengono esplorati i “buchi” e si lavora in concomitanza con la qualità bianca dell’essenza (fiducia e volontà) e la qualità rossa (forza e rottura dei vecchi schemi). I partecipanti esplorano a fondo la relazione con il padre e la madre, portando luce sulle manchevolezze, questo permette loro di vedere le ripetizioni compensative o ripetitive, messe in atto nelle proprie relazioni intime.
Meditazione
La pratica della meditazione inserita nei seminari è assai utile per interrompere la produzione continua di pensieri ripetitivi della mente nevrotica, spesso rivolti al passato e consentire l’esplorazione dell’essenza profonda dell’Essere, delle risorse interne e di quelle ambientali.Ogni lavoro di integrazione sulle qualità essenziali comprende un lavoro specifico e mirato di osservazione e di difesa consapevole dal giudice interiore o meglio conosciuto come “Super Ego”, per questo non abbiamo potuto prescindere dal collegare le diverse latife ad un lavoro mirato sul giudice e la sua relazione con l’Io e l’immagine di Sé rispetto ad ogni tipologia di personalità. Abbiamo constatato quanto il nostro lavoro improntato sulla riconnessione delle qualità essenziali sia di particolare aiuto alle persone che si relazionano con modalità dipendenti.
Conclusioni
Come insegna la Terapia della Gestalt, è importante attivare la funzione ad-gressiva che ha come significato “andare-verso”, la connesione con la qualità rossa della nostra essenza attiva questo movimento di riappropriazione ed autonomia, siamo spesso in attesa di dare ciò che abbiamo sempre desiderato ricevere o che ci venga offerto ciò che più desideriamo, ma nulla di ciò che potrebbe accadere sarà mai prezioso quanto lo stato di presenza di noi a noi stessi. Essere presenti è capacità di stare con “ciò che è”, è non sentire alcuna distanza tra sé … e se stessi: nessuna dissociazione, dispersione, disseminazione, distrazione. Più riconosceremo quest’unione, questa presenza, questo essere qui ed ora, questo assestamento, tanto più proveremo la sensazione della realtà, di essere veri. In questo modo, impariamo a stare nella dinamica della relazione con ciò che rinasce e cambia, come metafora potremmo usare quella del “surfare”, ci muoviamo fra vento e acqua. Impariamo a entrare fino in fondo nella consapevolezza delle nostre emozioni dando loro un nome, una forma, un peso specifico e un luogo nel corpo, un colore.
Riportiamo quindi il baricentro sul nostro Sé. La centratura sul Sé è la premessa per una relazione sana Io/Tu: chi sa stare solo è in grado di costruire relazioni più sane.